A Varese fino al 27 febbraio la prima grande mostra postuma
di Rauschenberg.
Dopo Venezia, Basilea e Bilbao la mostra tocca Varese, e non
a caso Villa Panza dove dal finire degli anni ’50 il conte Giuseppe Panza di
Biumo colleziona opere di questo artista controverso e in quegli anni non di
immediata comprensione che vince a Venezia nel 1964 con Gift for Apollo.
In effetti rispetto alle altre sedi qui la mostra si
arricchisce di altre 10 opere, annoverando quindi una quarantina di gluts,
ammassi metallici che l’artista assembla dall’86 a sottolineare lo stato di
saturazione (gluts, appunto) del mercato petrolifero e automobilistico
americano.
Entrando nelle sale della villa la prima cosa che salta agli
occhi è quanto questo scenario sia perfetto per un’ esposizione del genere, che
sembra saltare fuori dalle mura antiche e che crea un effetto ancora più
lampante dell’uso dei materiali di
scarto presi nelle discariche americane, ma non solo, infatti sono presenti
anche i Neapolitan Gluts, alcune delle opere realizzate per la scenografia di
Lateral Pass di Trisha Brown, esposti in origine sospesi sul palcoscenico del
S.Carlo.
Ma più che vere e proprie sculture guardo queste opere come
una sorta di quadri tridimensionali, certo vicini ai conbine paintings ma con
uno spessore metallico, che tranne per alcune non si piazzano al centro di una
stanza, ma che stanno attaccati alle pareti, questo ancora una volta risaltato
dall’ambiente della villa che le ospita.
Come l’oggetto dadaista veniva esposto in cerca di ricontestualizzazione,
i gluts si mostrano per quello che sono, prendendo connotati artistici solo per
la scelta degli accostamenti, e non per interventi successivi classici.
Se ad esempio John Chamberlain sceglie pressappoco gli
stessi materiali in discariche, li cambia, li modifica, li dipinge, R li lascia
intatti, forte del significato che da soli prendono.
Dando peso solo alla loro forma e al loro essere così
superati e stantii, eppure moderni e simbolo di modernità.
Il senso del consumismo.
Questo mi fa pensare al Noveau Realisme, specie di
contrapposizione europea al New Dada americano, con effetto di collage
tridimensionale dove l’estetica viene condizionata non dalla creazione, ma solo
dalla scelta dell’artista.
È la volontà di Rauschenberg che noi abbiamo davanti e
giudichiamo, la volontà di scegliere una lamiera al posto di un’altra, di
accostarla ad una corda al posto di un’altra e di girarlo in una direzione, e
di ruotarlo, e di esporlo, il come prima del cosa.
Fissando oggetti che perdono il loro valore di oggetti
rimanendo tali, ma non nel senso di una Fontana di Duchamp, ancora funzionale,
e nemmeno come nel caso delle biciclette di Cèsar, compresse anche se ancora
riconoscibili, l’unico intervento che R pone sul metallo è mentale.
Specialmente se l’opera in questione viene fatta utilizzando
materiali di scarto raccolti in una discarica, cosa può rendere arte quest’opera
d’arte?
La decisione.
La scelta di prendere dei manufatti già esistenti ed
accostarli in quel modo, fissarli per sempre come li si è pensati nel momento.
Non si crea nessun manufatto, si crea esclusivamente
l’accostamento per esporre l’oggetto, la cosa, erta a simbolo e significante se
stessa, o l’assenza di senso che ha quando non ha più funzione, superflua nella
saturazione.
Con questa serie R risponde a domande non solo sul senso del
consumismo, non solo sul senso della saturazione del mercato, non solo
sull’economia di un certo periodo storico di un certo paese, i Gluts affermano
una posizione sull’arte dal valore universale, sono un’opinione che, prima di
condividere o non farlo, fa piacere ascoltare.
Ed il metro di metallo rigido, piegato in modo non uniforme
e privato di ogni sua caratteristica di funzionalità sembra geniale perfino a
me, che non amo in modo particolare R.
Prendere un oggetto, liberarlo dalla sua ragione d’essere e
poi immortalarlo nell’inutilità, per sempre, è adorabile prima ancora che
significativo.
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