Freddo, buio. I colori sono quelli del rosso, e bianco.
Rosso sangue, bianco, freddo.
Entrando li vedo di schiena.
Sono tutti girati, non faranno caso a me, oppure si? Eppure mi sento osservato.
Osservato dall’uomo macilento, bianco, così bianco, e striato di sangue, verso cui anche loro sono voltati.
Tutta questa tensione mi crea nient’altro che imbarazzo, quando sono divenuto così cinico?trovando spazio, davanti a un uomo che soffre, davanti a un uomo morente, trovando spazio nel mio cervello per pensieri del genere.
Sono imbarazzato, la sua sofferenza imbarazza solo me? Gli altri sono compresi.
Gli altri sanno quello che sta succedendo, sanno quello che succederà perché partecipi, io lo so perché è nel mio immaginario.
I silenzi, il parlato così sottovoce oppure così distorto, è tutto visto perché è così che funziona, così che succede. Rituale.
Loro sanno e anch’io lo so. Ma con una differenza.
Loro, gli altri, sono compresi.
E io?
Beh, certo, io sono incompreso, penso, anzi, arrivo a pensare. Ma cos’è? Una battuta?
Inizio a credere che sia tutto un meccanismo di difesa, tutto questo divagare, questo spingermi via, eppure rimango. Inchiodato. Non ne esco.
La mente ci prova ed io, sadico? sensibile o insensibile? la riporto a posto.
Stai attento, mi dico.
Gli altri cominciano a muoversi insieme, già sapevo: loro sanno già.
Cadenzano i movimenti, alzandosi, abbassandosi, tutti rivolti verso il moribondo che viene avvicinato da un uomo che gli si para davanti senza per questo coprirlo, senza per questo averne pietà, come sapendo che non solo quel che è fatto è fatto, ma che andava fatto.
E’ centrale, questo punto, lo sento, la spiegazione è: è.
Tant’è.
Gioirne? Soffrirne?
Cos’è consono? Sensazione simile all’imbarazzo di prima, preoccuparsi maggiormente del comportamento da tenere, dell’espressione sul mio viso, che di quello che c’è intorno.
Eppure quello che c’è intorno è così prepotente, com’è possibile che non mi prenda se non marginalmente?
Soffro più di quel Cristo inchiodato per la mia freddezza, e nel momento in cui me ne rendo conto immediatamente cerco di nuovo il freddo controllo guardando gli altri, ancora di schiena, ancora silenziosamente coordinati.
Quando alcuni formano una fila composta non mi stupisco, ma, nel tentativo di mimetizzarmi ancora di più non li seguo e resto, come altri, nel mio silenzio.
E’ quasi finita, mi dico.
Non passa molto tempo infatti e poi anche quell’uomo, quella specie di sacerdote, lo dice.
E mi lascia andare in pace.
E’ domenica, è quasi ora di pranzo.
Fuori il mondo continua ad essere normale.
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