Mare, profumo di mare.
Vivere in un posto di mare ti condiziona, dicono.
C’è quest’aria diversa, senti il sale, senti il vento, senti qualcosa, dicono gli stessi.
Non amo il mare, non amo lo stile marinaro, trovo che il legno tinto di bianco e mangiato dalla salsedine non sia poi tutto questo romantico decor.
Vado sulla spiaggia e la vedo in tutto il suo grigiore, l’acqua non è affatto trasparente, è un brodo di dado, e per terra è pieno di squallore.
Residui.
D’estate donne ricoperte di cellulite e smagliature, d’inverno barattoli vuoti di creme anticellulite e smagliature.
Non è uno sfogo contro il consumismo, non è un grido ecologista, è solo il posto dove vivo.
Le colpe dei padri ricadranno sui figli.
Cosa so, io, del fu Felice Bocchino?
Quando è nato, quando è morto ed il suo nome.
Povero povero Bocchino.
Uno morto nel 1971 che continua ad essere preso per il culo meriterebbe rispetto.
Prossima volta porto un fiore, giuro.
Quando è nato, quando è morto ed il suo nome.
Povero povero Bocchino.
Uno morto nel 1971 che continua ad essere preso per il culo meriterebbe rispetto.
Prossima volta porto un fiore, giuro.
Rauschenberg, Gluts!
A Varese fino al 27 febbraio la prima grande mostra postuma
di Rauschenberg.
Dopo Venezia, Basilea e Bilbao la mostra tocca Varese, e non
a caso Villa Panza dove dal finire degli anni ’50 il conte Giuseppe Panza di
Biumo colleziona opere di questo artista controverso e in quegli anni non di
immediata comprensione che vince a Venezia nel 1964 con Gift for Apollo.
In effetti rispetto alle altre sedi qui la mostra si
arricchisce di altre 10 opere, annoverando quindi una quarantina di gluts,
ammassi metallici che l’artista assembla dall’86 a sottolineare lo stato di
saturazione (gluts, appunto) del mercato petrolifero e automobilistico
americano.
Entrando nelle sale della villa la prima cosa che salta agli
occhi è quanto questo scenario sia perfetto per un’ esposizione del genere, che
sembra saltare fuori dalle mura antiche e che crea un effetto ancora più
lampante dell’uso dei materiali di
scarto presi nelle discariche americane, ma non solo, infatti sono presenti
anche i Neapolitan Gluts, alcune delle opere realizzate per la scenografia di
Lateral Pass di Trisha Brown, esposti in origine sospesi sul palcoscenico del
S.Carlo.
Ma più che vere e proprie sculture guardo queste opere come
una sorta di quadri tridimensionali, certo vicini ai conbine paintings ma con
uno spessore metallico, che tranne per alcune non si piazzano al centro di una
stanza, ma che stanno attaccati alle pareti, questo ancora una volta risaltato
dall’ambiente della villa che le ospita.
Come l’oggetto dadaista veniva esposto in cerca di ricontestualizzazione,
i gluts si mostrano per quello che sono, prendendo connotati artistici solo per
la scelta degli accostamenti, e non per interventi successivi classici.
Se ad esempio John Chamberlain sceglie pressappoco gli
stessi materiali in discariche, li cambia, li modifica, li dipinge, R li lascia
intatti, forte del significato che da soli prendono.
Dando peso solo alla loro forma e al loro essere così
superati e stantii, eppure moderni e simbolo di modernità.
Il senso del consumismo.
Questo mi fa pensare al Noveau Realisme, specie di
contrapposizione europea al New Dada americano, con effetto di collage
tridimensionale dove l’estetica viene condizionata non dalla creazione, ma solo
dalla scelta dell’artista.
È la volontà di Rauschenberg che noi abbiamo davanti e
giudichiamo, la volontà di scegliere una lamiera al posto di un’altra, di
accostarla ad una corda al posto di un’altra e di girarlo in una direzione, e
di ruotarlo, e di esporlo, il come prima del cosa.
Fissando oggetti che perdono il loro valore di oggetti
rimanendo tali, ma non nel senso di una Fontana di Duchamp, ancora funzionale,
e nemmeno come nel caso delle biciclette di Cèsar, compresse anche se ancora
riconoscibili, l’unico intervento che R pone sul metallo è mentale.
Specialmente se l’opera in questione viene fatta utilizzando
materiali di scarto raccolti in una discarica, cosa può rendere arte quest’opera
d’arte?
La decisione.
La scelta di prendere dei manufatti già esistenti ed
accostarli in quel modo, fissarli per sempre come li si è pensati nel momento.
Non si crea nessun manufatto, si crea esclusivamente
l’accostamento per esporre l’oggetto, la cosa, erta a simbolo e significante se
stessa, o l’assenza di senso che ha quando non ha più funzione, superflua nella
saturazione.
Con questa serie R risponde a domande non solo sul senso del
consumismo, non solo sul senso della saturazione del mercato, non solo
sull’economia di un certo periodo storico di un certo paese, i Gluts affermano
una posizione sull’arte dal valore universale, sono un’opinione che, prima di
condividere o non farlo, fa piacere ascoltare.
Ed il metro di metallo rigido, piegato in modo non uniforme
e privato di ogni sua caratteristica di funzionalità sembra geniale perfino a
me, che non amo in modo particolare R.
Prendere un oggetto, liberarlo dalla sua ragione d’essere e
poi immortalarlo nell’inutilità, per sempre, è adorabile prima ancora che
significativo.
La realtà è una rottura di palle infernale.
Piangi, gridi, ti disperi, ti fai male, maledici, ti sporchi e ti sporchi pulendoti sommariamente, ti stanchi, estenui, odi, disprezzi e poi ti fermi.
Ascolti.
Ti guardi.
Ti stendi. O ti alzi.
E il buongiorno, e la buonanotte tornano ciclici.
E qui c’è la svolta.
LA SVOLTA.
La svolta non è mai improvvisa:
Esempio: un film dove lui, lei, loro, conducono una vita tranquilla.
Aspetti la svolta, sai che ci sarà.
Loro, al contrario, non se l’aspettano e ne sono travolti.
Loro sono personaggi e, almeno due volte su tre, il film era banale.
Esempio due: tu, proprio tu e se non proprio tu cerca almeno di immedesimarti perché se non ne hai le intenzioni allora che leggi a fare questa cosa, ed anzi allora che leggi a fare in generale, faresti meglio a ripiegare sulle guide tv o al limite sull’enigmistica che non è male.
Insomma tu hai un lavoro che fai perché ti è capitato e al momento ti sembrava un’ottima occasione, poi te lo sei mantenuto negli anni e seppur lamentandotene lo tieni ancora, magari anche stretto.
Poi, una sera, incontri una persona, vi sorridete, è amore.
Lo neghi a te stesso ma lo è, poi lo ammetti a te stesso e lo è.
Il caso vuole che questa persona sia di imminente ritorno nella sua lontana e misteriosa e megafascinosa patria.
La segui. E’ la svolta.
Poi l’amore finisce e lo neghi ma è finito, lo ammetti ed è finito, ecc. ed è finito.
Fai quel che fai, vai, torni, resti, è equivalente.
Quello che ti è successo dicesi svolta.
Avrai capito anche tu però che la svolta non è mai improvvisa.
La cerchi, ci pensi e anche se non è che la vuoi dichiaratamente è certo un’opzione accesa in un angolo del tuo cervello.
In questa storia non c’è la svolta improvvisa che cambia la vita, nessun ospite a sorpresa, niente salvataggi estremi più scena di sesso a seguire.
Questa storia non è un film.
Perché ci sono anche casi in cui c’è una precisa determinazione di cambiamento, di svoltare.
Non è questo il caso.
Lei è una ragazza come tante, e non come tante tipo commedia americana che come minimo ti trovi Cameron Diaz, lei è veramente una ragazza come tante, ma io non ci credo.
Perché il caso vuole che la ragazza stia lì a pensare al più e al meno, a quello che fare e a quello che non mentre una mano le regge tutta quella testa piena di roba.
Sta già pensando alla sua svolta, sta già pensando al trionfo, non vede bene i contorni, non capisce se sta per vincere un oscar, non sa se sta per ritirare il nobel, non sa neanche perché lo dovrebbe ottenere, è una grande attrice o è una grande regista o è una grande scrittrice, giornalista, fotografa, cantante.
Quando all’improvviso si sente chiamare, come battere su una spalla.
E’ la realtà.
La realtà è una rottura di palle infernale.
La realtà cerca sempre di farsi gli affari di tutti, non so come la gente possa continuare a tollerarla.
Secondo me se ci uniamo tutti possiamo farcela.
Potrei indire un comitato, tanto per iniziare, raccogliere firme, si, anche lei sta pensando lo stesso, potrebbe darsi anima e cuore alla politica sociale, quando all’improvviso entrambe sentiamo ridere.
E’ sempre la realtà.
Performance.
Quello che l’artista fa durante una performance creativa in pubblico è attentamente studiato, prima, e conosco il risultato che otterrò, la varabile è minima perché con gesti veloci io possa creare qualcosa di riconoscibile e apprezzabile.
Inizio con il fondo, stendo un colore chiaro che uniformi la superficie e che mi darà modo di disegnare contorni più precisi, poi metto un marroncino per velare e dare un po’ di profondità, poi passo al disegno vero e proprio, gli occhi sono neri e li delineo con uno spesso carboncino, il dentro estremamente bianco non mi sembra male.
Il rosso, altra velatura, la bocca sono solo due ditate di rosa su rosa, poi le sopracciglia, poi i lati del naso, poi ancora gli zigomi.
Guardo il risultato e poi l’orologio.
Sono pronta, sono in orario.
Forse solo un colpo di spazzola ed esco.
Dialogo su scarpe, 2011.
Parlando del più e del meno con una ragazzina, avrà 20 anni, e indossa degli stivali che trovo brutti.
Non glielo dico.
E poi lei dice: No, perchè meno di 12 cm non riesco proprio a portarli, non mi viene neanche in mente di comprarli, sono da vecchia.
Ma non da vecchia che se li indosso io divento una gran figa, da vecchia e basta.
Ha ragione.
In pieno.
E poi i tacchi, aggiungo io, meno di 12 cm oltre ad essere da vecchia sono anche scomodissimi, se ci pensi.
Ci troviamo d'accordo su tutto.
Meno sugli stivali che indossa, ma non lo dico, e quindi passano in secondo piano.
Lei non dice niente sui miei anfibi, e io non saprei da che parte cominciare per spiegarle che sono e saranno sempre più eleganti dei suoi stivali.
O almeno fino a quando non saranno da vecchia.
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